La circostanza

Uscito nel febbraio del 2015 per Marsilio, La circostanza di Francesco Paolo Maria Di Salvia è un romanzo abnorme, che nelle sue seicentodiciotto pagine narra – in estrema sintesi – sessantacinque anni di storia italiana.

La prospettiva scelta da Di Salvia è quella di una dinastia salernitana di industriali del caffè, i Saraceno, di cui ci vengono presentate quattro generazioni.

Personaggio principale è Italo Saraceno, prima eroe partigiano poi senatore del PCI, l’unico che parla in prima persona rivolgendosi a un caro ragazzo cui solo nel finale verrà dato un nome e che rivelerà la struttura circolare del libro.

I capitoli appaiono in ordine cronologico (con tanto di data) e sono inframmezzati da spot pubblicitari della Saraceno; spot che, pur adattandosi di volta in volta al contesto storico e sociale in cui nascono, si chiudono tutti col medesimo tormentone: “Dal 1880, Caffè Saraceno. L’aroma che non si dimentica”.

Se per questo romanzo ho parlato di abnormità, non intendevo riferirmi solo alla sua misura.

Imponente, intanto, è la ricerca documentale a cui si è sottoposto il giovane autore, capace non solo di offrirci retrospettive sempre originali su alcuni decisivi avvenimenti (con relative atmosfere e relativi vizi linguistici) degli ultimi decenni di storia italiana e internazionale, ma addirittura di citare fedelmente stralci, ad esempio, di comizi di alcuni uomini-simbolo del PCI, da Enrico Berlinguer ad Achille Occhetto.

C’è poi lo stile, fulminante nei dialoghi e sovrabbondante – ma mai stucchevole – nelle parti diegetiche; stile che a chi scrive ha ricordato le pagine più felici di Aldo Busi. L’ironia demistificatoria, che volentieri si deforma in sarcasmo, è strumento spesso usato, e ottimamente governato, da Di Salvia. Tra gli innumerevoli esempi possibili si legga questo: “«Gheddafi è niente. È un uomo semplice, in fin dei conti. Uno a cui piace dormire in tenda. Un beduino. Che cos’ha sognato per tutta la vita? Comprarsi la FIAT e la Juventus, come i calabresi emigranti a Torino, che sognavano di dominare il mondo indossando una maglietta bianconera a bordo di una 850 presa a rate»”, pp. 566-7.

(Qui ci concediamo una parentesi, che è nel contempo una piccola critica e una grande speranza: l’ironia, al di là delle ragioni tecniche per cui viene adoperata, è pur sempre una difesa, una barriera di protezione collocata non solo tra sé e il materiale narrato, ma pure tra sé e i limiti del dicibile. Ci auguriamo che un autore così dotato sia capace, un giorno, di rimuovere questa barriera, di provarsi in una narrazione che punti frontalmente al fuoco delle cose).

Tornando a La circostanza: cosa ci dice, al di là del piano narrativo superficiale, il romanzo?

Certamente, come Di Salvia ha ripetuto in diverse interviste reperibili anche in rete, ci sono alcuni argomenti centrali che attraversano tutte le pagine: l’inclinazione degli italiani a rifugiarsi in istituzioni-totem quali la famiglia o il partito; la politica vista come ossessione idealistica; la storia del PCI accompagnata da (coincidente con?) una sorta di lunga e ininterrotta volontà di autofagocitarsi.

Ma c’è un ulteriore elemento che, per quanto sotterraneo, irradia con particolare forza il libro. Per chiamarlo in causa riaccenniamo agli spot della Saraceno, sempre mutevoli eppure sempre inchiodati a quel motto di chiusura, quasi intrappolati tra il desiderio di cambiamento e quello di fissità; tra, potremmo dire, adesione al tempo presente e fedeltà alla propria origine.

Sulla pagina del proprio sito dedicata a La circostanza, l’autore riporta una frase di Ortega y Gasset tratta dalle Meditazioni del Chisciotte: “Yo soy yo y mi circunstancia, y si no la salvo a ella no me salvo yo”.

La circostanza è ciò che informa e indirizza la vita di ciascuno. Ma dalla propria circostanza ciascuno tenta di evadere continuamente, perché è intollerabile che essa sia univoca, sia una sola.

Ecco allora che l’opera di Francesco Paolo Maria Di Salvia dice dell’insanabile conflitto tra la circostanza e le circostanze, queste ultime intese come le infinite (e illusorie) vie di fuga dal proprio tracciato esistenziale.

E se il conflitto tra circostanza e circostanze permette-impone ai personaggi del romanzo di riciclarsi, talvolta tacitando episodi poco chiari del proprio passato (Italo) talaltra reinventandosi a cominciare dall’identità biografica (Carletto, uno dei figli di Italo, emigrerà negli Stati Uniti e diventerà un artista famoso con lo pseudonimo di Christian Marx), che ricadute avrà, tale conflitto, su chi questo sorprendente romanzo lo ha scritto?

Ma non abbiamo già detto che l’ironia, per gli scrittori, è una rassicurante presa di distanza da sé, dai propri limiti espressivi?

 

(pubblicato su Squadernauti il 5 maggio 2015)

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