Invisibili

Il maestro di Go

 

Ai giocatori di Go

 

“Negli ultimi dieci anni, il maestro ormai anziano aveva preso parte soltanto a tre competizioni a livello agonistico. E ogni volta si era ammalato nel pieno svolgimento della gara. Dopo la prima di queste partite la sua salute era rimasta malferma; dopo la terza sarebbe morto” (p. 52).

Scegliere l’intensità, rifiutare l’estensione. Perché la vita si sviluppa in un punto, dispersione è l’ampiezza.

“Il maestro non era stato spinto a quella sfida solo dal prestigio di un grande editore e dal compenso che avrebbe ricevuto, ma anche dalla consapevolezza di esibirsi per amore dell’arte; lo spirito combattivo non aveva mai cessato di bruciare dentro di lui. Se solo avesse sospettato di perdere, probabilmente non si sarebbe esposto in quel modo. Fu come se la sua vita si spegnesse nel momento stesso in cui cadeva dal suo capo la corona dell’invincibilità” (p. 60).

Ma nemmeno la massima intensità annulla la presenza del corpo, ed è lì che la vanità attecchisce. No, neppure l’immobilità: le statue sono corpi in mostra. Forse per vivere davvero bisognerebbe diventare invisibili.

 

(Suggestioni e citazioni tratte da Yasunari Kawabata, Il maestro di Go, traduzione di Cristiana Ceci, Studio Editoriale, Milano 2001)

 

(pubblicato su Squadernauti  l’8 aprile 2024)

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