Altrettanto benevola (quasi in punta di ossequiosità) è l’introduzione di Francesco Guglieri, che di Lish rammenta – anche attraverso le parole di altri celebrati autori statunitensi – la perizia e il potere come professionista dell’editoria.
Introduzione che apre Come scrivere un racconto. Un libro di narrativa, uscito nell’ottobre del 2022 per Racconti Edizioni (traduzione di Roberto Serrai, illustrazione di copertina di Marta Signori). Il volume raccoglie trentadue racconti di Lish, la maggior parte dei quali non supera le quattro pagine.
Poco nuoce all’intelligenza del testo il fatto che manchi, per ciascun racconto, ogni riferimento (specie cronologico) alla prima pubblicazione. Perché la sensazione è che la narrativa di Gordon Lish sia priva di uno sviluppo, graviti tutta attorno a un medesimo centro.
Giusto per prendere subito una posizione scomoda, potremmo dire che si tratta di una prevedibilissima raccolta di buoni racconti scritti da un eccellente editor.
O, per riformulare con più generosità la nostra affermazione, si tratta di trentadue racconti divertiti, talvolta divertenti, in cui Lish mostra una grande conoscenza dei meccanismi narrativi, sia nella costruzione di una trama che – soprattutto – nel depistaggio dei lettori.
Ma, a lettura ultimata, si ha la sensazione di una scrittura algida, tutta intellettuale, priva del vero elemento che fa spiccare il capolavoro dallo sfondo delle pur meritorie altre opere: la tensione verso l’altrove.
Ovvero, anche qui occorre spiegarci meglio, è proprio l’irresolutezza, intesa come slancio verso l’inconoscibile, a dare mobilità e fuoco a una narrazione.
Dicevamo del centro attorno a cui gravita l’intera narrativa di Gordon Lish. Che sembra proprio essere la volontà di esibire maestria narrativa, abilità di saltabeccare tra le svariate possibilità di inventare e gestire una storia, avvicinandola e allontanandola dal desiderio di comprensione del lettore.
“Credi che non mi renda conto della reputazione che mi faccio raccontando barzellette e cercando di convincere tutti che sono racconti?” (p. 279).
Forse questo atteggiamento nasce dalla consapevolezza di Lish, declinata con risultati eccelsi nel mestiere di editor, di saper rendere ogni unicum narrativo un meccanismo perfettamente funzionante.
Da lì deriva forse l’ulteriore consapevolezza, un po’ blasé, di saper prevedere tutto ciò che – in un determinato contesto – possa essere scritto o pronunciato: “È per questo che non provo un grande interesse per la gente, e nemmeno per me stesso. Sappiamo tutti esattamente cosa dire, e lo diciamo: l’uomo seduto davanti a me, che recitava un melodramma col suo bicchiere; io che parlavo con lui allora e con voi adesso; voi, che leggete e valutate queste pagine.
Non c’è scampo” (p. 38).
Ci permettiamo di contrariare Gordon Lish (o, perché lo stesso Lish non rimproveri la nostra ingenuità, il Lish fittizio che ha pronunciato simile sentenza): lo scampo sta nell’affidarsi non alla ricerca ossessiva di un senso, di un risultato, ma alle intercapedini tra un senso e l’altro, tra un risultato e un altro. Affidarsi ai vuoti e non ai pieni.
Forse il grande editor Gordon Lish non è mai stato un grande scrittore perché non ha mai voluto abbandonare le sicurezze del pieno (la struttura) per inoltrarsi nello spaventevole vuoto (la luce che vibra tra gli spazi della struttura medesima).
(pubblicato su Squadernauti il 24 novembre 2022)