Non dalla facile (benché indubitabilmente giusta) prospettiva ecologica per cui ogni libro è pur sempre carta sottratta alle foreste, ma da quella morale: ogni libro è un punto di vista umano contro il mondo, un urlo umano contro il mondo.
Sì, contro il mondo, perché se il mondo fosse accettato per com’è – eppure lo sappiamo tutti che il suo ritmo è immutabile!; eppure lo sappiamo tutti che si nasce e si muore, e nell’intervallo tra i due eventi non possiamo far altro che stare al mondo! – non ci sarebbe bisogno di libri. Diciamo pure: non ci sarebbe bisogno di esibire alcunché.
Allora non importa più sapere chi abbia davvero scritto cosa; sapere se quello fosse un plagio o una citazione; e se non importa più dire io o tu, non si tratta certo di una conquista: perché il tanto lodato noi non è un superamento del punto di vista egocentrico, ma testimonia semmai un egocentrismo più grande, collettivo, universale: l’umana prepotenza contro il mondo.
Ma i prepotenti non sono quelli che più di tutti mostrano la paura?
E dire che se il mondo non c’è per essere governato da noi, non c’è nemmeno per impaurirci.
(liberamente ispirato a Elio Vittorini, Si diverte davvero a tradurre? Lettere a Lucia Rodocanachi 1933-1943, Archinto, Milano 2016, a cura di Anna Chiara Cavallari ed Edoardo Esposito).
(pubblicato su Squadernauti il 15 novembre 2016. Illustrazione originale di Michelangelo Nigra)