a Elisa Ruotolo
Pretendere di terminare un romanzo, un racconto, quando proprio non viene, non è diverso dal pretendere di trascinare una relazione che con tutta evidenza non funziona più.
Si potrebbe obiettare: le relazioni che non funzionano più, magari le si può raddrizzare.
Magari sì. Ma non si tratterà più di amore. Si tratterà di ostinazione, di paura dell’abbandono, della solitudine, del vuoto.
Anche di un romanzo o di un racconto che non viene si può arrivare alla fine: con la pazienza, con la fatica, col mestiere. Ma non si tratterà più di un’opera scaturita dalla necessità. Si tratterà, anche qui, di ostinazione. Di bisogno di far bella figura. Di terrore di essere dimenticati.
Se solo si accettasse il fatto che, appunto, tutto si dimentica (è solo questione di tempo) si lascerebbero andare le persone, le cose. Si cancellerebbero le pagine di quel romanzo o racconto che non viene.
D’altronde è impossibile trattenere se non pochissimo, è impossibile fare bene se non pochissime cose (forse solo una). Il mondo non può essere stipato di tentativi, ha bisogno di spazio per respirare, e se non respira lui non respiriamo noi; e se non respiriamo noi, non ci saranno più relazioni amorose, non ci saranno più opere necessarie.
(pubblicato su Squadernauti il 9 ottobre 2015. Illustrazione originale di G. C. Cuevas)