Il torsolo

Scrive Louis-Ferdinand Céline: “Sono solo un poveraccio, non un semidio. Vivo insonne e con l’emicrania e ho 54 anni!” (p. 30); e nella medesima lettera, poche righe oltre: “Conosco la musica del fondo delle cose… Se occorresse saprei far ballare gli alligatori al suono del flauto di Pan” (ibid.).

Come se la tensione verso il limite proiettasse contemporaneamente al cospetto del punto infimo e di quello superno.

Scrive, ancora, Céline: “Gli stessi nazisti non hanno mai seriamente considerato il razzismo. Lo utilizzavano come un’esca elettorale per raccogliere un po’ di illuminati della mia specie,” (p. 32); e nella medesima lettera, poche righe oltre: “Io vado dietro all’emozione con le parole senza lasciarle il tempo di rivestirsi in frase… L’afferro nuda e cruda, o meglio nella sua poeticità – perché il fondo dell’Uomo malgrado tutto è poesia” (p. 33.).

Come se la tensione verso il limite, proiettando contemporaneamente al cospetto del punto infimo e di quello superno, rendesse estranei ai concetti di opportunità e coerenza.

Per quanto sia faticoso ammetterlo, le categorie del lecito e dell’illecito, del giusto e dello sbagliato, sono invenzioni umane. Sono ripari.

In ciascun essere umano ci deve essere un nucleo primitivo resistente a ogni scelta, se pensiamo che ogni scelta implica il desiderio affannoso di indicare, ribadire, giustificare o difendere la propria posizione nel mondo.  Ogni scelta è, in fondo, un riparo.

Quel nucleo primitivo, invece, è la propria posizione nel mondo.

“Mi interessano poco gli uomini e le loro opinioni proprio per niente… è il loro torsolo che mi interessa, non quel che dicono ma quel che sono… la cosa – l’uomo in sé”, p. 42.

 

(Citazioni tratte da Lettere al professore. Corrispondenza con Milton Hindus 1947-1949 di Louis-Ferdinand Céline, a cura di Jean Paul Louis, traduzione e postfazione di Elio Nasuelli, Archinto, Milano 2015).

 

(pubblicato su Squadernauti l’1 settembre 2015)

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