Come se la tensione verso il limite proiettasse contemporaneamente al cospetto del punto infimo e di quello superno.
Scrive, ancora, Céline: “Gli stessi nazisti non hanno mai seriamente considerato il razzismo. Lo utilizzavano come un’esca elettorale per raccogliere un po’ di illuminati della mia specie,” (p. 32); e nella medesima lettera, poche righe oltre: “Io vado dietro all’emozione con le parole senza lasciarle il tempo di rivestirsi in frase… L’afferro nuda e cruda, o meglio nella sua poeticità – perché il fondo dell’Uomo malgrado tutto è poesia” (p. 33.).
Come se la tensione verso il limite, proiettando contemporaneamente al cospetto del punto infimo e di quello superno, rendesse estranei ai concetti di opportunità e coerenza.
Per quanto sia faticoso ammetterlo, le categorie del lecito e dell’illecito, del giusto e dello sbagliato, sono invenzioni umane. Sono ripari.
In ciascun essere umano ci deve essere un nucleo primitivo resistente a ogni scelta, se pensiamo che ogni scelta implica il desiderio affannoso di indicare, ribadire, giustificare o difendere la propria posizione nel mondo. Ogni scelta è, in fondo, un riparo.
Quel nucleo primitivo, invece, è la propria posizione nel mondo.
“Mi interessano poco gli uomini e le loro opinioni proprio per niente… è il loro torsolo che mi interessa, non quel che dicono ma quel che sono… la cosa – l’uomo in sé”, p. 42.
(Citazioni tratte da Lettere al professore. Corrispondenza con Milton Hindus 1947-1949 di Louis-Ferdinand Céline, a cura di Jean Paul Louis, traduzione e postfazione di Elio Nasuelli, Archinto, Milano 2015).
(pubblicato su Squadernauti l’1 settembre 2015)