Il tempo della vita è il tempo della ricerca, inesausta e infruttuosa, di consolazione. È consumarsi nell’illusione che quel timore sia infondato.
Ma “qualsiasi consolazione […] non è che l’immagine riflessa della mia disperazione”, p. 20.
Perché il tempo della vita è destinato a concludersi, annullando così ogni possibile consolazione.
Allora potrebbe venire in soccorso una nuova illusione: quella di immaginare la vita slegata dal tempo. “Ma […] tutto quello che conferisce alla mia vita il suo contenuto meraviglioso – l’incontro con una persona amata, una carezza sulle spalle, un aiuto nel bisogno, un chiaro di luna, una gita in barca sul mare, la gioia che dà un bambino, un brivido di fronte alla bellezza – tutto questo si svolge totalmente al di fuori del tempo. Che io incontri la bellezza per un secondo o per cent’anni è del tutto indifferente. Non solo la beatitudine si trova al di fuori del tempo, ma essa nega anche ogni relazione tra il tempo e la vita”, pp. 25-26.
Invece no: anche la beatitudine comincia e finisce, compie la propria parabola all’interno del tempo.
Non c’è vera libertà, all’interno del tempo. Non c’è vera libertà, all’interno della vita. La vera libertà va ricercata al di fuori dell’uno e dell’altra.
Un giovane scrittore svedese è stato capace di dire l’indicibile. E poi di trasformarlo in gesto.
“E mi pare di capire che il suicidio è l’unica prova della libertà umana”, p. 24.
(Stig Dagerman, Il nostro bisogno di consolazione, introduzione e traduzione di Fulvio Ferrari, Iperborea, Milano, 20139).
(pubblicato su Squadernauti il 17 febbraio 2015)