Comportati bene e resterai solo

Comportati bene e resterai solo. Un manuale cinico sulla dannata razza umana è una raccolta di saggi brevi, articoli e discorsi (alcuni dei quali finora inediti in Italia) scritti da Marc Twain tra il 1868 e il 1910, adesso proposti in volume da Piano B Edizioni.

La scelta arbitraria dei brani è in questo caso felicissima, perché dà una chiara dimensione dell’inesauribile vivacità, acutezza e autonomia del pensiero di Twain.

Centro del suo interesse è l’uomo, o meglio la distanza incolmabile tra la sopravvalutazione umana di sé e la sua infima condizione.

In uno dei primi brani, ad esempio, l’autore ripercorre brevemente la storia del mondo per poi concludere così: “L’uomo è qui da 32.000 anni. Che ci siano voluti un centinaio di milioni di anni per preparargli il mondo è la prova che tutto ciò è stato fatto proprio per lui. […] Se la torre Eiffel rappresentasse oggi l’età del mondo, il velo di vernice sul pomo del pinnacolo posto alla sua sommità rappresenterebbe l’età dell’uomo; e chiunque capisce che è esattamente per quel velo di vernice che è stata costruita la torre”, p. 23.

Altrove, la forma dialogica adoperata da Twain per farsi beffe dell’antropocentrismo ricorda le Operette morali: “«Cos’è la Terra?» «Un piccolo globo che ho creato, un tempo o due tempi e mezzo fa. L’avete visto, ma non l’avete notato durante l’esplosione di soli e mondi generata dalla mia mano. L’uomo è un esperimento, gli animali un altro esperimento. Il tempo dirà se ne è valsa la pena»”, pp. 29-30.

Specie nei testi degli ultimi anni, il gusto per la metafora e l’ironia lasciano il posto a un’amarezza espressa frontalmente: “L’uomo è l’animale crudele. Ed è il solo. Gli animali superiori si impegnano in lotte individuali, mai in masse organizzate. L’uomo è l’unico animale che si dedichi alla più atroce delle atrocità, la guerra”, p. 71; e ancora: “L’uomo è l’Animale Religioso. È l’unico animale religioso. […] Egli è l’unico animale che ama il prossimo suo come se stesso, ma se la teologia del prossimo suo non rientra nel canone giusto allora è capace di tagliargli la gola”, p. 72.

Il pessimismo di Twain è radicale, giacché individua nella moralità dell’uomo l’origine delle sue azioni riprovevoli: “Trovo che questo difetto sia il Senso Morale. L’uomo è l’unico animale che ne sia afflitto e questo è il segreto della sua degradazione. È la qualità che gli consente di fare il male. […] Senza il Senso Morale, l’uomo non potrebbe sbagliare. Si eleverebbe subito al livello degli animali superiori”, pp. 73-74.

Allora ecco che una serie di caratteristiche universalmente riconosciute come positive, alla luce dell’impietoso sguardo di Twain cambiano di segno: “Di regola la nostra autostima ha la sua fonte in un unico posto – uno solo – e in nessun altro: nell’approvazione degli altri”, p. 93.

La sua dissacrazione degli ambiti di umana pertinenza non ha confini: Twain rovescia il proprio sarcasmo persino sugli eventi luttuosi, permettendosi ad esempio di stilare un prontuario comportamentale da seguire durante i funerali. Se ne leggano le ultime righe: “Quando la cerimonia è militare le emozioni dovrebbero rispettare la gerarchia: l’ufficiale più alto in grado ha la precedenza per la commozione più violenta, gli altri adatteranno i loro sentimenti in accordo al ruolo di servizio. Non portate il cane”, pp. 198-199.

Lo scrittore va ancora più a fondo, giungendo a negare l’individualità, e dunque il concetto di libero arbitrio: “E ancora un altro ramo di bugie: ossia che io sono io e tu sei tu, che noi siamo unità, individui e abbiamo una nostra natura, anziché essere la coda finale di un’eternità di antenati di un baco da tenia che si estende in un’unica marcia all’indietro e all’indietro e all’indietro – alla nostra origine nelle scimmie”, pp. 114-115.

Privato della propria unicità ma non del bisogno di uniformarsi a determinati princìpi, l’uomo è solito eleggere a virtù alcune caratteristiche le quali, in realtà, sono in aperta contraddizione con la natura umana stessa. Come ad esempio la tanto celebrata coerenza (corsivi nel testo): “Qual è la più rigorosa legge della nostra esistenza? Crescere. Neppure il più minuscolo atomo della nostra struttura morale, mentale o fisica resta lo stesso per più di un anno. Cresce – deve crescere, niente può impedirlo. Deve crescere verso l’alto o verso il basso; più piccolo o più grande, in meglio o in peggio – non può stare fermo. In altre parole, si cambia – e dobbiamo cambiare finché viviamo. Qual è allora il vero vangelo della coerenza? Cambiare. Qual è l’uomo davvero coerente? L’uomo che cambia”, pp. 136-7.

Questa lunga serie di citazioni, dicevo all’inizio, restituisce l’immagine di uno scrittore sempre lucido e disincantato, talvolta feroce, ma mai gratuitamente cinico. Magari un simile grado di onestà può provocare in alcuni lettori un sentimento di repulsione, però la parola dei veri poeti e dei veri scrittori non può esimersi dal compito di indagare le cose con sguardo assoluto: cioè non solo mostrandole coi loro pieni e coi loro vuoti, ma anche riportandole alle loro autentiche grandezze e proporzioni.

E tale operazione non è certo compiuta per procurare reazioni depressive, ma semmai per favorire il più dignitoso degli atteggiamenti: solo riconoscendo la propria dimensione infinitesimale e l’impossibilità di possedere davvero il mondo, infatti, l’uomo potrà vivere una vita non titanica, forse nemmeno gloriosa, ma perlomeno onesta.

 

(pubblicato su Squadernauti il 28 novembre 2014)

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