In questo clima di angosciosa euforia è ambientato Era solo una promessa, romanzo di Fausto Vitaliano uscito per Laurana Editore nel 2012. Sempre con Laurana, Vitaliano pubblicherà due anni dopo un altro romanzo, Lorenzo Segreto, già recensito su questo blog.
Era solo una promessa è suddiviso in cinque parti: le prime tre coprono ciascuna un anno dal 1991 al 1993, la quarta ha per titolo Fine ’93, inizio ’94, la quinta Oggi, 2012.
Il libro narra la vicenda di Alessandro, fotografo trentenne che ha perso i genitori in un incidente ferroviario (e che vive mantenuto dall’assicurazione); Letizia de Santillana, direttrice della rivista Modern con cui Alessandro collabora, gli affiderà un servizio presso la villa dei Neyroz, ricca famiglia di industriali di provincia. Alessandro entrerà così in contatto con l’anziano Vittorio Neyroz e coi tre figli di lui: i gemelli Giulio ed Eduardo, suoi coetanei, e la figlia minore, la bellissima Silvia, con la quale il protagonista intreccerà una tormentata storia d’amore.
Va citato almeno un altro personaggio, l’anziano Tairon Usset, burbero e fascinoso, ex socio di affari di Vittorio Neyroz, ormai emarginato e incline al vino, che avrà un ruolo centrale nella trama.
Trama complessa e ricca di colpi di scena, nella quale i segreti di ciascuno saranno il vero motore (od ostacolo), e di cui nulla dirò, per lasciare al lettore la scoperta di un plot davvero solido e avvincente.
Piuttosto, alla luce della lettura ravvicinata dei due romanzi fin qui scritti da Fausto Vitaliano (che, ricordiamolo, è uno dei migliori sceneggiatori italiani di fumetti), mi preme rimarcare un leitmotiv: a Vitaliano interessano le vicissitudini esistenziali indagate dal punto di vista del tempo.
Cioè: il tempo individuale di ciascun personaggio patisce la mancata coincidenza col tempo assoluto, e in due diversi modi. Intanto, per ignoranza del presente, dei fatti che compongono la Storia; e poi, per ignoranza del proprio passato, delle proprie radici.
Come Lorenzo Segreto, anche Alessandro inizialmente vive protetto in una sorta di dimensione extrastorica; il lutto mai elaborato e la condizione economica agiata gli consentono di muoversi in un continuo presente bastevole a se stesso (corsivi nel testo): “Da parte mia, era addirittura qualcosa di più che semplice sfiducia nel futuro: io ero convinto che il tempo fosse una colossale truffa, un imbroglio, il più perfido dei complotti tesi a soggiogare l’umanità. Non esisteva alcuno scorrere del tempo. C’era solo un rapido spostarsi di situazione e di luogo. Spostamenti casuali, insensati, slegati uno dall’altro. Non c’era un prima né un dopo. C’era solo adesso”, p. 58.
Ma il suo ingresso nella villa dei Neyroz, luogo di intrighi di potere e di drammi personali, l’amore con Silvia e gli accadimenti di cronaca troppo clamorosi per poter essere elusi, gli imporranno di fare i conti con se stesso (il passato) e col mondo che lo circonda (il presente), recuperare un’identità, affacciarsi finalmente sul futuro.
Ancora una considerazione: in entrambi i romanzi di Vitaliano, la Storia crea dei cortocircuiti, delle mancate corrispondenze tra desiderio e realtà, tra chi serba un penoso segreto e chi, vittima inconsapevole di tale segreto, vive all’oscuro della verità. Da questi che potremmo chiamare incidenti del tempo scaturiscono, e popolano le pagine dei due romanzi, alcune inquietanti presenze ai confini col soprannaturale, quasi personificazione dei fantasmi che tormentano chiunque non abbia saputo (potuto, voluto) pacificarsi con le proprie origini e il proprio passato.
(pubblicato su Squadernauti il 14 ottobre 2014)